Limitless è un gran film, ci tengo a precisarlo fin da subito perché, il requisito primario che chiediamo a un’opera cinematografica: la capacità di intrattenere lo spettatore.
Preciso anche che con intrattenimento non intendo solo e unicamente il far ridere a crepapelle o alzare il voltaggio sensoriale del pubblico pagante, ma anche il potere di emozionare e commuovere, indurre in chi guarda un senso di empatia, coscienza e rivelazione. Un film intrattiene se non lascia indifferenti.
Qualunque film rinunci a questo ingrediente fondamentale è dunque per noi un vuoto esercizio di stile, una ridicola pretesa di artisticità fine a sé stessa, un’irritante messa in mostra di tecnicismi e intellettualismi di maniera.
È perciò naturale che quando un film centra così brillantemente come Limitless la mission fondamentale del cinema, quella cioè di risucchiarci istantaneamente in un vorticoso ottovolante di emozioni, sorprese, sobbalzi e divertimento sfrenato, l’applauso a scena aperta è l’unica reazione giustificata. Tutto il resto è snobismo puro.
Limitless è innanzitutto quella che gli americani definiscono joy ride: una corsa a perdifiato tra stimoli sensoriali, sorprese visive e iniezioni di adrenalina.
Il film di Neil Burger è anche un oggetto strambo e affascinante che mescola abilmente generi non necessariamente “adiacenti” tra loro: commedia, fantascienza, thriller, azione, crime movie.
L’insieme è, come dicevo, una strepitosa joy ride che però non si ferma al semplice sollazzo di chi siede in sala ma contribuisce nel suo piccolo a coniare un nuovo micro-genere. D’ora in poi esisterà nella mia (e penso anche nella vostra) coscienza cinefila una categoria aggiuntiva, una “tag” addizionale: quella dei limitless movies. Film che fanno ciò che fa di solito un film, ma “di più” e meglio.
Questa ambizione di Limitless (secondo me pienamente soddisfatta) di andare oltre il normale film d’intrattenimento, di “immergere” la visione del pubblico più in profondità, è magnificamente e sublimemente evidenziata dalla sequenza che anima i titoli di testa.
Si tratta di un effetto visivo che potrebbe essere distrattamente liquidato come semplice “zoomata” ma che in realtà è molto di più. È una tecnica conosciuta come zoom frattale, ottenuta combinando tre cineprese munite di lenti a corto, medio e lungo raggio. Il risultato finale è pazzesco, chi è stato in sala potrà confermare.
L’impressione è che Limitless sia un film che, come il mitico rocknrolla di Guy Ritchie, “vuole tutto”. L’analogia tra i due film è peraltro giustificata dal loro fulcro tematico: entrambi mettono al centro una sostanza psicotropa, un additivo chimico in grado di “sballare” e potenziare la propria vita. Ma i risultati sono diversi.
Pur avendo molto apprezzato Rocknrolla penso che il film di Guy Ritchie si inserisca nel familiare solco dell’action frenetico e violento, caratterizzato da una regia e una fotografia molto personali e ravvivato da toni tipici della commedia nera anglosassone.
Il tutto racchiuso naturalmente in una confezione molto cool che ci propone la filosofia e la cultura del “rocknrolla”, quell’elogio degli eccessi e della vita vissuta sul filo del rasoio che costituisce un richiamo irresistibile nell’immaginario pop contemporaneo.
Ma l’operazione di Limitless è diversa e per molti versi “oltre”. Nel raccontarci di una droga sperimentale e ancora fuori dal mercato, l’NZT, la cui proprietà principale consiste nel potenziare in modo incalcolabile le nostre facoltà cerebrali, Neil Burger aveva davanti a sé la sfida non solo di dipingerci senza sbavature il consueto microcosmo di trafficanti senza scrupoli, strozzini dal look violento e primitivo, uomini d’affari di dubbia onestà e killer spietati.
Il regista americano doveva infatti farci immedesimare, a livello percettivo-sensoriale, nel punto di vista di un uomo qualunque, fallito e senza prospettive concrete di successo, che si trova improvvisamente ad avere un superpotere, riuscendo a intuire, capire, dedurre e calcolare cose che sono precluse al 99% degli esseri umani.
E ci è riuscito brillantemente, grazie a una regia piena di risorse e inventiva, capace di giocare non solo con colori e filtri fotografici ma anche con i tempi, i ritmi e la prospettiva di ogni inquadratura.
Non solo il famigerato zoom frattale, ma tante scene – da quella in cui Eddie scopre il suo nuovo potere a quella geniale della rissa in metropolitana, passando per la strepitosa sequenza in cui il nostro beniamino trascorre ben 18 ore “saltando” da uno scenario all’altro, da una location all’altra, senza nemmeno rendersi conto delle azioni che compie o delle persone con cui interagisce – contribuiscono a creare quel senso di stupore e coinvolgimento assoluto che sono alla base della riuscita di un film come Limitless.
A completare il quadro, la sorprendente capacità di Neil Burger di “switchare” da un genere all’altro senza che i rispettivi passaggi narrativi perdano coerenza o sostanza. C’è un senso di solidità e puntualità che tiene insieme il tutto e fa girare il meccanismo di Limitless in modo praticamente perfetto.
Ultimo ma non ultimo, lasciatemi sottolineare come l’eccellente riuscita di quell’ipercinetica e roboante “joy ride” che è Limitless sia dovuta in buona parte al carisma e al talento di Bradley Cooper che io mi sento di dichiarare ufficialmente in questa sede il più accreditato e legittimo erede di Michael Douglas.
A lui va il merito di interpretare un personaggio fuori dagli schemi e in netta controtendenza rispetto alla concezione di “supereroe” consegnataci da Marvel e Dc Comics. Morra è infatti un supereroe cinico ed egoista, un (super)homo novus, un “self-made man” dopato che porta il mito del Sogno Americano oltre i confini dell’etica e della moralità. Ma proprio per questo, incarna un bisogno incredibilmente umano e “terrestre” che va innanzitutto spiegato e capito, prima ancora che giudicato.
Quello di superare i limiti che natura e società ci impongono e trarre il massimo dalla nostra vita, costi quel che costi.
In conclusione, ritengo Limitless un film di razza che brilla per la sua incredibile capacità di intrattenere e divertire.
Ma si tratta di un intrattenimento e di un divertimento intelligenti, ottenuti costruendo molto bene il ritmo narrativo, delineando con tocco lucido e sapiente i personaggi e le situazioni e regalandoci un’esperienza percettiva sorprendentemente vivida e realistica.
Forse manca qualcosa a questo film, quel “quid” indefinibile che hanno i capolavori assoluti, ma è una cosa sulla quale riprometto di tornare. Per il momento il miovo voto “si ferma” a 5 cappelli ma non è escluso che prima o poi, magari dopo una seconda visione, salga ancora. E poi, mai come in questa recensione, il voto numerico passa in secondo piano. Spero di essere riuscito anche solo in parte a raccontarvi quale entusiasmante esperienza sia stato guardare Limitless: se non l’avete ancora visto ed è ancora in programmazione, fiondatevi in sala e vi assicuro che non ve ne pentirete.