Warrior – Recensione

Warrior - Recensione

Nel filone del dramma sportivo (definizione elastica e imprecisa) rientrano parecchi film, e alcuni hanno segnato la Storia. Per svettare e andare sul podio occorre picchiare più forte degli altri, esattamente come nel MMA, Mixed Martial Arts, la selvaggia ed eclettica disciplina che troviamo in scena questa volta. E Warrior picchia più forte che mai, un colpo sull’altro, fino a drogarti di dolore.

Il dolore infatti è l’unica lingua comprensibile per due fratelli incasinati e un padre che zoppica sulla via della redenzione, che non riescono a riconciliarsi. Tre individui che, messi all’angolo dalla vita, decidono di combattere le avversità nel modo che gli riesce meglio, perchè per loro le semplici parole esprimono poco e male, mentre quello che si grida nella “gabbia”, claustrofobica e animalesca controparte del classico ring, quando si è a un passo dalla vittoria o dalla sconfitta arriva in modo diretto e rimane per sempre, senza fraintendimenti.

Raramente in questo genere si è vista una violenza così lirica, così rivelatrice. Il regista Gavin O’Connor (già dietro all’incerto ma non disprezzabile Pride and Glory) accosta Rocky e The Fighter a Nel Nome del Padre (e anche il cognome Conlon non pare casuale), costruisce una prima parte tosta a livello verbale, accendendo una alla volta le micce di vari conflitti. Poi, proprio come ai protagonisti, da metà pellicola in avanti le parole non gli bastano più, e allora non gli resta che dare fuoco a tutto quel bollente sangue irlandese, come se fosse benzina.

Laddove molti film a questo punto diventerebbero meri esercizi action in grado di sprecare i personaggi così ben costruiti, Warrior si evolve in modo magistrale proprio grazie alla perfetta gestione del grande torneo, sempre opportunamente intervallato da squarci “famigliari”, in cui la regia domina i combattimenti con tale fervore da scatenare all’unisono il pubblico dentro e fuori dallo schermo (sul serio, in sala ogni volta che finiva un match partivano gli applausi), mentre ogni sordo schiocco della carne e delle ossa dei lottatori ci dice qualcosa di più su quello che provano e ciò che hanno da perdere.

O’Connor riesce a rendere questa tragedia greca famigliare tanto avvincente quanto le sessioni di MMA, continuando ancora e ancora il girotondo emozionale attorno ai suoi tre personaggi principali, dirigendo minuto per minuto come se ogni volta fosse l’ultimo, e aggiungendo sempre nuove sfumature ad ognuno di loro, al punto che solo alla fine il quadro può dirsi veramente completo; ed è un quadro ben più complesso di quello che ci si aspetterebbe, con sotterranne e veementi riflessioni su colpa, perdono ed espiazione e sui princìpi curativi e cicatrizzanti dei legami di sangue più profondi. Ne risulta una fortezza inespugnabile, un gran pezzo di bravura e intensità, con un cast così pregiato da incoronare il migliore quasi a malincuore, un Tom Hardy degno di svaligiare la prossima Notte degli Oscar, pazzesco, ma anche Nick Nolte e Joel Edgerton contribuiscono a fare la differenza, impeccabili.

Warrior, per la forza bruta che imprime ad ogni fotogramma, si impone quindi ai vertici di categoria e non solo, un film squadrato e potente che assedia lo spettatore e lo esalta fino allo sfinimento. Un capolavoro che non lascia scelta.