The Woman in Black – Recensione

“Dove cazzo sono finiti gli occhiali?”. Confesso che è stato questo il primo pensiero a sfrecciarmi in testa quando finalmente ho assistito al momento che molti potteriani doc aspettano da mesi: la prima apparizione cinematografica di Daniel Radcliffe nell’era post-Hogwarts.

E c’è da stare sicuri che quel primo piano prolungato che attende lo spettatore a circa un minuto e mezzo dall’inizio, subito dopo una scena introduttiva tanto ben realizzata quanto genuinamentedisturbante, è un momento che segnerà emotivamente molti tra coloro che per anni hanno seguito il maghetto nelle sue scorribande dentro e fuori la Scuola di Magia. Una cosa che naturalmente Daniel Radcliffe e il suo staff sapevano bene, al momento di scegliere il copione scritto da Jane Goldman (la quale si è basata sull’omonimo romanzo di Susan Hill, autentica veterana della narrativa gotica britannica) per il regista James Watkins.

Per ripartire col piede giusto e non “bruciarsi” come accaduto a molti suoi omologhi di generazioni precedenti, il 22enne londinese ha voluto mantenere una forte continuità con le atmosfere britishtanto care ai suoi fan e al tempo stesso compiere un definitivo “upgrade” al cinema “da grandi” (un processo a dire il vero già cominciato in corso d’opera con la saga di Harry Potter che, partita da toni infantili e sognanti, con gli ultimi episodi si è evoluta in una confezione decisamente adulta, dark e violenta)  con questa classica ghost story ambientata tra le brughiere infide e nebbiose dell’Inghilterranordorientale.

E in effetti, il “trucco” funziona. Dopo un primo momento di confusione e nostalgia di fronte alla vista di una faccia nota che però ha inevitabilmente qualcosa di diverso – superato insomma il classico straniamento “è lui ma non è lui” – ci si abitua presto a vedere Radcliffe nei panni di un azzimato avvocato britannico chiamato a indagare sulle funeste apparizioni di una donna in nero che con la sua mortifera presenza semina lutti e terrore in un cupo paesino dello Yorkshire.

E a differenza di deludenti exploit come Il mistero di Rookford – filmetti tirati via che scimmiottano il genere senza convinzione né inventiva – The Woman in Black onora gli stilemi classici dell’horror soprannaturale vittoriano con notevole competenza visiva e un lodevole senso del ritmo: il risultato è uno spettacolo di grande atmosfera e decisamente  “pauroso” (è un PG-13 ma penso che perfino un pubblico 18enne avrà bisogno di una buona dose di nervi saldi).

Nulla da stupirsi dato che a metterci la faccia, oltre a Watkins, è la Hammer Films, storica casa cinematografica britannica nota per la sua onorata produzione in ambito horror gotico tra gli anni ’50 e i ’70. È anche grazie a loro se un tema che oggi risulta inflazionatissimo a causa dei maldestri balbettii di certa pretenziosa e sedicente scuola neogotica – quella di Omen – Il presagio, The Wolfman, Insidious e l’orribileHaunted 3d – riesce ancora a essere convincente.

A partire dal “mostro” principale: la famigerata “donna in nero” che non sbaglia neanche un’apparizione; ma anche per quanto riguarda il ruolo dei bambini, oramai trattati dal cinema horror alla stregua di pallidi fantocci da agitare sullo schermo per ottenere un sicuro effetto strizza, e qui invece “dosati” in modo sapiente ed efficace per far crescere la tensione senza abbassare la qualità dello script. Completa il quadro una buona performance dell’attore Ciaràn Hinds, qui malinconico nobile del luogo che aiuterà Radcliffe nella sua missione.

Detto questo, non vi resta che accomodarvi in sala, potteriani e non. E state tranquilli: se anche all’inizio vi verrà naturale invocare l’uso di uno “Stupeficium” o di un “Expelliarmus” alla vista di Radcliffe in pericolo – o se magari sentirete il bisogno di applaudire una mossa ben riuscita dell’ex maghetto di Hogwarts con un entusiastico “Dieci punti a Grifondoro!” – il giochino si esaurirà presto, per lasciare spazio al terrore puro, strisciante e pervasivo che The Woman in Black sa spargere a piene mani.